E’ DA ALCUNI anni che Paolo Graziosi propone nei teatri la drammatizzazione di una novella di Samuel Beckett, «Primo amore», tradotta nel ’72 da Franco Quadri, spettacolo prodotto dallo Stabile di Firenze, e ovunque ottiene un grande successo di critica e soprattutto di pubblico che, sorpreso di trovarsi di fronte allo stesso autore di «Aspettando Godot» e «Finale di partita», si diverte moltissimo.
Il monologo arriva ora all’ Arena del Sole, in scena nella Sala Interaction oggi e domani alle 21,30 e domenica alle 16,30. Beckett, Premio Nobel per la letteratura nel 1969, scrisse questa novella a 39 anni, nel 1945, quando da Dublino si trasferì a Parigi. Doveva ancora arrivare «Aspettando Godot» a portargli la celebrità e lui se la passava tra amici, whisky e malesseri di ogni tipo.
E’ in questo clima che nasce questo «pezzo di pura felicità verbale, un campionario di arbitrio inventivo che si mescola con la confessione intima e con l’ ironia spiazzante» come scrisse il critico Osvaldo Guerrieri. «La storia è semplice, raccontata in prima persona dal suo protagonista – spiega a Graziosi in un’intervista -. Cacciato di casa dopo la morte del padre, si dà a una vita di vagabondaggio. Un giorno incontra una donna, che ben presto lo invita a dividere il suo alloggio. Da qui l’inizio di una sorta di recherche proustiana, ironica e minuziosa, attraverso cui il protagonista, che si autodefinisce un «disturbato», tenta di identificare i suoi sentimenti, quel malessere profondo, quella insofferenza verso il mondo che gli fa desiderare una forma definitiva di «supinazione cerebrale».
Tutti elementi rintracciabili anche nei personaggi beckettiani successivi: degli outsider, vittime del loro stesso voluto isolamento, comici e tragici al tempo stesso». Solo in scena, Graziosi (che firma anche la regia) veste un abito sdrucito alla Charlot, siede su una sedia girevole, maneggia un ombrello, sorseggia da una bottiglia. E sfodera un’ oratoria incessante, un flusso inarrestabile di parole e pensieri che finisce per diventare il vero dramma banale di un uomo tragicamente normale.
R.D.G. La Repubblica