Lavoro, da alcuni anni ormai, ad un progetto filmico su Oriana Fallaci (la sua testimonianza-confessione, raccontata nel libro “Morirò in piedi” di Riccardo Nencini – Edizioni Polistampa) senza ritenerlo mai davvero compiuto, “risolto”: nel cinema, quanto nella letteratura e nel teatro, del resto, non si finisce mai di esplorare per non precludersi, fino all’ultimo, la possibilità di comprendere.
Vi sono, tuttavia, momenti nei quali l’urgenza di raccontare, muove l’accettazione della “sfida” senza la possibilità di opporvisi. E’ quanto mi è capitato negli ultimi tempi; è la ragione per cui, avere la possibilità di (ri)pensare al progetto per una messinscena in teatro – aspirazione, per quanto mi riguarda, pari a quella del lavoro di trasposizione cinematografica – ha significato poter dare seguito all’itinerario espressivo intrapreso, con quello di ricerca della complessa figura di Oriana Fallaci.
Di lei si è detto e scritto tanto, e molto lo si farà ancora. La si è amata e detestata allo stesso modo, mai davvero compresa con la sincera volontà di farlo, e neppure la sua morte è riuscita a riconciliare gli animi e le diverse fazioni, restituendoci l’immagine, almeno prossima, a quelle che sono la sua identità ed intimità più profonde. Forse, ha contribuito ella stessa a rendere ardua questa comprensione: per il proverbiale riserbo sul suo privato, la gelosia ferrea verso il “proprio mondo” ma, in particolare, per la decisione di precludersi agli altri nel momento della malattia.
Oriana ha conosciuto i potenti del mondo che ha sfidato dialetticamente, ma pochissimi sono stati suoi amici veri. Appartiene a questo ristretto novero, Riccardo Nencini. Non sorprende, quindi, – anche se colpisce il gesto di toccante umanità della donna – che lo abbia scelto quale depositario della su testamento morale: la confessione delle sue paure, i suoi sogni, le fragilità, la segreta solitudine; e non abbia avuto timore di rivelargli la propria fisicità profanata alla malattia.
Tema centrale del racconto è il ritratto intimo di una Donna, oltre le liturgie ideologiche verso il “personaggio”; l’identità privata, talvolta inedita, intrisa di dolore, umanità. E di Verità: in virtù dell’incontro con Riccardo, Oriana rivela l’urgenza di non rinnegare se stessa; al tempo stesso, di non aver timore di chiedere aiuto e – consapevole dell’imminente fine – d’essere compresa, pur senza l’aspirazione di piacere ad ognuno. Una Donna, nella quale non viene mai meno il coraggio, che scoperta la malattia ha mutato il suo rapporto la sofferenza, la vita, e la morte: renderla dignitosa, prepararsi all’assalto finale del cancro senza arrendersi, senza tradire.