Il perché del mestiere dell’attore. Servillo, apologo del recitare («La Nazione»)
«Elvira porta il pubblico all’interno di un teatro chiuso, quasi a spiare tra platea e proscenio, con un maestro e un’allieva impegnati in un particolare momento di una fenomenologia della creazione del personaggio..
«…Un’altra occasione offerta dalle prove quotidiane del monologo di Donna Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière, consiste nell’opportunità di assistere a una relazione che si trasforma in scambio dialettico, perché il personaggio è per entrambi territorio sconosciuto nel quale si avventurano spinti dalla necessità ossessiva della scoperta». Pensieri e parole di Toni Servillo all’indomani del debutto di uno spettacolo «Elvira» che sarà in cartellone al teatro Niccolini fino al 12 marzo, cioè per quasi un mese. «Dopo anni in cui le riflessioni sul teatro e sul lavoro d’attore di Louis Jouvet mi hanno fatto compagnia nell’affrontare repertori diversi, da Molière a Marivaux, da Eduardo a Goldoni – confessa Servillo – mi è parso necessario che arrivasse il momento di un incontro diretto». Trattasi di spettacolo-apologo dell’attore che spiega il mestiere dell’attore. In scena non solo la sua arte ma tanto anche la sua missione civile, con il solo sostegno del corpo, della voce e della presenza degli attori, che svelano le alte parole, le sofferte meditazioni e il severo rigore di un maestro del teatro come il francese Louis Jouvet. E tutto questo perché il pubblico conosca la fatica, il dolore, la tensione che si provano affrontando il palcoscenico e, in definitiva, la segreta realtà di questi sempre imperfetti messaggeri di poesia e verità. Un’occasione importante per dimostrare, soprattutto ai giovani, la nobiltà e anche la difficoltà del mestiere di recitare, che rischia di essere svilito in questi tempi confusi. Elvira avvolge lo spettatore in un silenzio in cui fa risuonare le parole, in una cronologia precisa che fa susseguire le date delle lezioni. E si affrontano come in un duello intellettuale il maestro-regista e l’allieva. E gli allievi. Ma tranquilli: non c’è morale assoluta, non c’è severità nozionistica, ognuno impara dall’altro, e in una sincera trasmissione di idee e di anetti. E anche Jouvet va incontro alla sua allieva.