Fabrizio Gifuni. “La confessione impossibile del mio straniero” («La Repubblica»)
«Ci sono autori di tale profondità che vanno ben al di là della trama, della storia che scrivono, che comunque resta magnifica». Fabrizio Gifuni
Niccolini. L’attore da stasera a domenica con un progetto nato da Camus
Fabrizio Gifuni è un artista totale: sa recitare certo, ma il suo teatro è anche fatica, linguaggio del corpo, sudore, ferite. L’artista è protagonista da stasera a domenica prossima al Niccolini de “Lo straniero. Un’intervista impossibile” liberamente tratto da Camus, regia di Roberta Lena: lo spettacolo è stato voluto dal Teatro della Toscana-Pergola ( feriali ore 21, domenica ore 16.45, www.teatrodellatoscana.it, 055/0763333). Gifuni, in teatro, aveva già affrontato attraverso prove monstre autori come Gadda e Pasolini. L’anno scorso – assieme a Massimo De Francovich e Massimo Popolizio – era stato protagonista di “Lehman Trilogy” di Stefano Massini.
«Per me – prosegue Gifuni – il corpo è al centro del mio lavoro espressivo. In un’epoca sempre più virtuale, il teatro resta un’esperienza unica, è un modo di condividere situazioni profonde assieme al pubblico. Nei miei spettacoli ci sono corpi alla prova: il mio e quello degli spettatori. La forza magnetica che emana il pubblico è determinante. Per me il concetto di replica non esiste, ogni sera è e resta unica. Ne “Lo straniero” il movimento del corpo passa soprattutto attraverso la voce, che è un prolungamento del corpo. Io resterò immobile, muoverò le braccia, le mani, cambierò espressioni, ma ciò che conta è il lavoro sulla voce, una voce che diventa corpo, che farà comprendere movimenti interiori». Siamo dunque davanti ad un evento di teatro totale, dove il pubblico sarà coinvolto emotivamente in prima persona dell’attore.
“Lo straniero” è un romanzo cardine dell’esistenzialismo. Il protagonista, dopo il funerale della madre non sembra manifestare alcuna emozione: uccide un arabo senza sapere perché ed accetta la condanna a morte con indifferenza. Come spiega Gifuni: «II testo di Camus ha due caratteristiche che lo rendono materia perfetta per un attore: il racconto è in soggettiva, uno sprofondamento progressivo nell’anima del protagonista, Meursault, e poi c’è la sua abbagliante dimensione fisica e sensoriale». Gifuni si trova in uno spazio neutro, immerso in un’unica, forte, sorgente di luce. Le musiche sono dei Cure e dei Tuxedomoon, mixate live in scena dal musicista/dj Gup. Alcaro. Per la sua eleganza e classe – ma anche per l’abito che indossa (costumi di Roberta Vacchetti ) Gifuni ricorda Marcello Mastroianni che nel ‘67 interpretò “Lo straniero” in un discusso fìlm di Luchino Visconti. Obbligato a constatare che qualsiasi scelta si rivela inadeguata, nella pièce di Camus-Gifùni l’uomo si scopre straniero a se stesso, paralizzato dalla crudeltà, irrazionale e ineluttabile delle cose della vita. Sempre Gifuni: «Meursault torna per confessare la sua storia davanti a una selva di microfoni e riflettori. Il testo è quasi integrale: la luce, ma anche i suoni, gli odori, i sapori, la consistenza degli oggetti e delle superfici, connotano le quattro grandi sequenze del romanzo: la veglia e il funerale della madre, l’omicidio di un arabo su una spiaggia, il processo, il carcere in attesa dell’esecuzione».